Publicado 2023-06-21 — Actualizado el 2023-06-28
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Derechos de autor 2023 Medievalia

Esta obra está bajo una licencia internacional Creative Commons Atribución-NoComercial-CompartirIgual 4.0.
Completó su BA y su MSt en Lenguas Modernas (italiano y español) en el Magdalen College, donde está completando su doctorado. Su tesis es una edición crítica de la traducción al castellano medieval del Decamerón de Boccaccio, siguiendo el método neolachmaniano de crítica textual empleada por Alberto Blecua en su Manual de crítica textual (1982). Sus intereses académicos incluyen las literaturas española e italiana tanto de la Edad Media como del inicio de la Modernidad, crítica textual, lingüística historia, historia del libro y paleografía.
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Nel tardo medioevo si eseguirono due traduzioni (conosciute) della Commedia in castigliano. La prima, di Enrique de Villena, risale al 1428 e consiste in una traduzione probabilmente provvisoria: infatti, si trova nei margini di un manoscritto italiano con glosse in latino e in castigliano (21-22). Più tardi, nel 1515, si stampava a Burgos un’edizione castigliana dell’Inferno, tradotta da Pedro Fernández de Villegas, che constituisce l’argomento principale di questo libro. Come ci spiega Hamlin, si tratta di una traduzione-o meglio, una riscrittura-della prima cantica della Commedia, in cui Villegas converte le terzine dantesche in coplas de arte mayor. Inoltre, ci sono delle differenze notevoli rintracciabili anche al livello del contenuto (e non solo del testo poetico dell’Inferno, ma soprattutto del commento, basato principalmente sulla celebre edizione di Cristoforo Landino, il Comento sopra la Comedia), e sono indirizzate-è questa la tesi centrale del libro-non solo per adattare il poema alla versificazione spagnola ma anche per fini propagandistici a favore dei Re Cattolici, Ferdinando II e Isabella I, in un fervido clima culturale e politico del principio dell’umanesimo nella Penisola Iberica. Il libro di Hamlin offre, appunto, uno studio approfondito di alcuni aspetti storico-culturali della traduzione, concentrato prevalentemente sul commento. Rappresenta, dunque, una contestualizzazione fondamentale prima di presentare l’edizione critica di questa traduzione, che si aspetta dalla stessa Hamlin.
Nell’introduzione, Hamlin fornisce un ampio panorama bibliografico e un riassunto storico sia della traduzione tardo-medievale in generale sia, in particolare, della traduzione della Commedia in castigliano nel ’400. A questo punto sarebbe stato utile menzionare anche la traduzione catalana di Andreu Febrer i Callís, risalente al 1429 (quasi contemporanea alla traduzione di Villena), soprattutto se si considera che il contesto storico della traduzione di Villegas-durante il regno dei Re Cattolici-implica, necessariamente, l’unificazione de facto della Corona d’Aragona con la Corona di Castiglia.
Nel primo capitolo, Hamlin esamina alcuni aspetti materiali e testuali-fondamentali per affrontare un testo attualmente inedito-, ossia le descrizioni dei testimoni, la datazione della traduzione originale e dei testimoni esistenti, e infine la loro filiazione. La traduzione di Villegas si conserva nel manoscritto B2183 della Hispanic Society of America e nell’edizione di Burgos del 1515, allestita nel laboratorio tipografico di Fadrique Alemán de Basilea. Riguardo il manoscritto, Hamlin affronta principalmente i problemi di datazione, riassumendo le ipotesi postulate negli studi precedenti, che stabiliscono un terminus a quo verso la fine del ’400, nonostante il fatto che la filigrana della carta del manoscritto risalga al 1510-1524, come già indicava Faulhaber (53). È importante notare che oltre ai 34 canti dell’Inferno, il manoscritto contiene anche una traduzione di Purgatorio I (e, parzialmente, II), e di Paradiso I. D’altra parte, Hamlin nota che esistono 48 esemplari dell’edizione di Burgos (ne aggiunge 3 ai cataloghi precedenti). Informa di avere ispezionato 37 di questi e segnala che la maggior parte contengono note marginali e altre tracce d’uso, senza però entrare nel dettaglio. Sarebbe sicuramente stato utile se avesse fornito alcuni dettagli più specifici, così da intendere meglio chi furono i lettori di questa traduzione e cosa, in particolare, era di loro interesse.
Da qui, Hamlin stabilisce che l’atto di traduzione avvenne tramite due fasi ermeneutiche: prima la traduzione del testo poetico, poi la stesura del commento. Hamlin, attraverso un’analisi magistrale di alcuni riferimenti storici-le date di matrimonio e di morte della figlia illegittima di Ferdinando II, Giovanna, e la data di morte di Isabella I-colloca la traduzione del testo poetico tra il 1502 e il 1510, mentre per il commento stabilisce il terminus a quo tra il 1505 e il 1510, e il terminus ante quem tra il 1512 e il 1515.
Per trattare la complessità della filiazione dei due testimoni, Hamlin si concentra prima sulle correzioni reperibili nel manoscritto, e poi sulle varianti tra il manoscritto e l’edizione. Nel manoscritto Hamlin identifica 3 stadi di correzione: la prima mano è quella che scrive il testo poetico, in un inchiostro scuro con una scrittura gotica-rotonda; la seconda scrive in un inchiostro grigio; la terza scrive in un inchiostro arancione, come quello della glossa, ma che imita la scrittura più rotonda del testo poetico invece della scrittura gotica-umanistica della glossa (molto ridotta rispetto alla glossa nell’edizione). In tutti gli stadi si notano correzioni contraddittorie, ossia, alcune correzioni che avvicinano le lezioni nel manoscritto a quelle dell’edizione, altre invece che, a partire da lezioni nel manoscritto che corrispondono all’edizione, le allontanano.
Di fronte a questo intreccio di correzioni contraddittorie, Hamlin fa ricorso al testo poetico che si trova nell’editio princeps del Comento di Landino (Firenze, 1481), dal momento che Hamlin ha già accertato che forti rapporti di dipendenza intercorrono tra il commento landiniano e la glossa dell’edizione di Burgos. La giustificazione per questo si trova in una nota a piè pagina (66, n. 57), e le ragioni sono piuttosto convincenti; nonostante ciò, siccome questa edizione del Comento viene usata per chiarire questioni sia di filiazione-un aspetto fondamentale dell’ecdotica che non dovrebbe mai rischiare di essere trascurato-, sia (nei capitoli successivi) per analizzare il metodo di traduzione, questa discussione avrebbe meritato di essere trattata in modo più dettagliato nel testo principale. Sarà, senza dubbio, un aspetto da affrontare a fondo nell’edizione critica. Questa analisi del complicatissimo groviglio di correzioni nel manoscritto conduce Hamlin a riaffermare due conclusioni cui era già giunta in un articolo precedente (2013): il testo del manoscritto non è il modello su cui si basò l’edizione, e i tre stadi di correzione furono eseguiti dopo la pubblicazione dell’edizione e, infatti, basandosi su di essa (82).
Se la successiva analisi delle varianti tra le lezioni nell’edizione e nel manoscritto (prima delle correzioni) non aiuta in particolare a chiarire questa filiazione labirintica, è nondimeno importante nel precisare e nel riconfermare alcuni dettagli importanti. Da segnalare sono infatti i seguenti punti: il manoscritto trasmette una versione anteriore della traduzione del testo poetico; il manoscritto non risale alla fine del quindicesimo secolo ma a un periodo compreso tra il 1515 e il 1524; il testo poetico e il commento dell’edizione si basano su versioni distinti dello stesso archetipo (ɑ); e che le correzioni nella seconda versione (ɑ2) furono apportate dallo stesso Villegas per avvicinare la traduzione al testo italiano del poema dantesco. Nel 2013, Hamlin aveva ipotizzato una specie di contaminazione reciproca tra i due rami della traduzione dai quali derivano i testimoni, in cui il modello del manoscritto contaminava l’edizione e, a sua volta, l’edizione stessa contaminava le lezioni che si trovano nelle correzioni del manoscritto. Ora, incorporando anche le incongruenze testuali nell’edizione tra il testo poetico e i lemmi corrispondenti nella glossa, e inoltre la nuova datazione del manoscritto, Hamlin propone uno stemma che ne riflette la complessità:
Figura 1: stemma codicum (92)
Infine, Hamlin si occupa di un dettaglio decisamente significativo della glossa del manoscritto. Il copista avverte che trascrive solo una parte di una glossa molto più estesa, il che conferma che la glossa che si trova nell’edizione non era un ampliamento di una glossa primitiva del manoscritto, bensì il contrario. Hamlin aggiunge che questo atteggiamento riduttivo si applica soltanto all’Inferno, e che i successivi canti del Purgatorio e del Paradiso nel manoscritto dispongono di una glossa molto più dettagliata-proprio perché non esisteva una glossa più estesa come quella dell’Inferno nell’edizione di Burgos-il che lascia supporre che ci fu un tentativo di completare la traduzione della Commedia intera. Questo è un fattore importantissimo della disposizione e della funzione del testo del manoscritto, che meriterebbe di essere affrontato in modo meno tangenziale, ossia, inserito nell’argomentazione principale.
Il capitolo precedente sulla filiazione tra i due testimoni serve a giustificare la centralità dell’edizione di Burgos, dato che questa è più completa e apparentemente più prossima alla volontà del traduttore. Nel secondo capitolo, dunque, Hamlin ne delinea le caratteristiche generali. Per quanto riguarda il testo poetico, si concentra prima sulla metrica: il cambiamento più drastico è la trasposizione dalla terzina dantesca all’arte mayor. È un fenomeno che Hamlin denomina la «coazione degli ictus» e specifica le conseguenze che ne derivano: l’iperbato; l’enjambement; la sintassi latineggiante; la manipolazione della forma del verbo; la duplicazione dei lessemi; l’instabilità dei possessivi, le congiunzioni coordinanti e le preposizioni; gli arcaismi, i latinismi e gli italianismi; e infine la sincope, l’apocope e l’aferesi. In seguito, si concentra sui cambiamenti che avvengono a causa della nuova forma strofica, ovvero: l’ampliamento o ripetizione dei versi; l’interpolazione dei versi; l’omissione di dettagli; e la disposizione dei versi all’interno di una strofa.
Hamlin descrive questi fenomeni in maniera articolata e convincente utilizzando esempi dal testo di Villegas confrontati col testo della princeps del Comento di Landino. Nei casi necessari, aggiunge delle spiegazioni, in altri casi ne esamina le conseguenze letterarie. Conclude sottolineando il «caos extraordinario» (p. 118) avvenuto al livello sintattico, strutturale e semantico. Dunque, Hamlin è stata capace di spiegare piuttosto sistematicamente una trasposizione stilistica estremamente complicata; sicuramente nell’edizione critica si spera di trovare ulteriori esempi per illustrare più ampiamente queste tendenze, e magari anche degli esempi in cui questi fenomeni si intersecano.
Strettamente collegato ai cambiamenti metrici e strofici è il metodo di traduzione, che Hamlin analizza dal punto di vista della pratica del traduttore e, basandosi sulla metodologia di Vázquez-Ayora e Wotjac, delinea alcuni esempi dei seguenti fenomeni che riguardano i lessemi: la trasposizione di categoria grammaticale; la modulazione metonimica, antitetica, iperonima e iponima; la modulazione tra la voce passiva e attiva; l’esplicitazione; l’ampliamento; l’omissione; e l’unificazione o combinazione di idee o immagini. Sostanzialmente, delinea le ripercussioni non solo sintattiche e semantiche, ma anche ideologiche, e dunque iniziamo a vedere il tema principale del libro. Come già accennato sopra, questa analisi lascia definitivamente supporre che il modello fosse la princeps del Comento di Landino, ed è proprio per questo che sarebbe stato necessario uno studio molto più approfondito sul modello di traduzione, insieme a prove testuali per poter affermare senza dubbio (oppure col minor dubbio possibile) che tutti questi casi fossero puramente scelte del traduttore e non variazioni testuali già presenti nella tradizione del modello.
Hamlin nota che l’apparato paratestuale di Villegas è composto dall’introduzione e dal commento al testo. Nell’introduzione (divisa in tre parti: la dedica a Giovanna, «De la vida y costumbres del poeta», e l’introduzione al testo), lo stesso Villegas avverte di essersi ispirato a Landino, però-sottolinea Hamlin-solo la seconda sezione deriva dal proemio del Comento. Hamlin informa che Villegas include tutti gli elementi retorici che ci si aspetterebbe da un accesus ad auctores, ma senza una vera e propria rigidità scolastica. Inoltre, è qui che si nota la significativa divergenza ideologica da Landino, siccome non include i suoi riferimenti al neoplatonismo.
In quanto al commento, Hamlin avverte che la mise en page sovraccarica il testo poetico: per poter presentare un’interpretatio ed examinatio approfondite, Villegas tratta una copla per volta, che viene circondata dal commento, il quale poi spesso continua su uno o più fogli. Un tale approccio ha per conseguenza l’interruzione ogni 8 versi dell’unità narrativa e poetica all’interno dei canti; dato il «caos» sintattico e semantico della traduzione del testo poetico, questo ulteriore frazionamento del testo non ne facilita la lettura. Descrivendo il contenuto del commento, Hamlin afferma che si tratta di una discorsività simile a quella che si trova nell’introduzione, cioè che include diversi argomenti senza la tipica struttura scolastica. Il commento, infine, sembra riflettere il caos del testo poetico.
In questo capitolo, Hamlin inizia a esplorare il fulcro dell’argomentazione del libro, partendo appunto da un panorama del contesto politico-culturale durante il regno dei Re Cattolici. Hamlin spiega come la propaganda nel tardo ’400 (soprattutto in testi storiografici e poetici) presentasse la loro vittoria nella guerra di successione come un evento provvidenziale, per giustificare appunto l’ascesa al potere e la successiva espansione territoriale. La Commedia, dunque, essendo il prodotto del contesto politico di Dante, nonché un testo profetico, rappresenta uno schema perfetto per una riappropriazione del testo a fini propagandistici. Tra il 1504 e il 1509, proprio nel periodo in cui, secondo Hamlin, Villegas traduceva l’Inferno, ci fu un forte sentimento «antifernandino» (154), che, logicamente, richiedeva ulteriori sforzi propagandistici.
In quanto all’analisi del testo stesso, va detto che gli interventi di tipo politico o ideologico nel testo poetico sono pochi ma significativi. Per prima cosa, Hamlin esamina la traduzione della profezia in Inferno I (vv. 91-105), confrontandola con il testo poetico del Comento, soprattutto i riferimenti alla «lupa» e al «veltro». L’autrice sostiene che alcune scelte prese dal traduttore in questi versi, che allontanano la traduzione dal testo toscano, sembrino richiamare altri testi profetici con funzioni propagandistiche a favore di Ferdinando, e che quindi indichino una riappropriazione della profezia per parlare più esplicitamente della guerra e della nobiltà ribelle (la lupa) durante il regno dei Re Cattolici, in opposizione all’arrivo salvifico di Ferdinando (il veltro). Per offrire ulteriori prove convincenti dell’intenzione propagandistica del traduttore, Hamlin individua dei parallelismi tra altre poesie allegoriche e profetiche dell’epoca in coplas de arte mayor che svolgevano una simile funzione, affermando che questa forma poetica si prestava a questi fini, il che spiegherebbe la scelta di Villegas di cambiare lo schema metrico. Nell’ultima parte del capitolo, Hamlin analizza altri momenti nell’Inferno riappropriati in maniera più sottile. Per esempio: la rappresentazione, in diversi canti, di una divinità più autoritaria di quella dantesca per offrire «una representación regia del poder divino» (191), sottolineando dunque l’immagine del monarca come rappresentante di Dio, e altri cambiamenti nel testo poetico, la cui funzione propagandistica viene rivelata solo nella glossa. In questo capitolo, l’analisi è molto convincente, anche se a volte sarebbe stato utile fare ricorso alla tradizione esegetica precedente riguardo alla Commedia, per delineare più chiaramente le possibili intenzioni del poeta e dei suoi esegeti, e per poter poi affermare con più certezza cosa il traduttore abbia deciso di cambiare e in che modo.1
Il resto del libro si concentra esclusivamente sul commento. Nei capitoli 4 e 5, Hamlin presenta un’analisi dei meccanismi propagandistici introdotti da Villegas nel suo commento, in cui si riappropria di svariati temi introdotti da Landino. Per affrontare questo ampio materiale, Hamlin inizia (Capitolo 4) con un confronto tra i commenti di Villegas e Landino e le linee generali in cui le loro ideologie divergono. La prima tendenza che nota è la riconfigurazione delle sensibilità neoplatoniche di Landino in modo da enfatizzare invece le esigenze didattiche-morali di Villegas come esponente della dottrina cristiana aristotelica-tomistica, tramite alcuni passaggi tratti dal Prohemio e i commenti ai primi canti dell’Inferno. Di seguito, Hamlin si concentra sulla riappropriazione di alcuni personaggi nei primi canti, per indicare come Villegas esegua una riconfigurazione della dicotomia della vita contemplativa o attiva, uno schema esegetico centrale del commento landiniano, su cui le preferenze tendono a oscillare, sempre a fini propagandistici.
Il Capitolo 5 si concentra sul modo in cui la propaganda viene inserita nel testo del commento tramite ideologie più esplicitamente politiche, e ne identifica tre categorie: la costruzione apologetica dell’immagine del re, la riappropriazione negativa di alcuni discorsi e personaggi, e la propaganda antifrancese. La studiosa inizia analizzando la riappropriazione dei commenti su Tarquino e Saladino, che Villegas depura di qualsiasi riferimento negativo, appunto per difendere l’immagine reale. Hamlin si sofferma anche su altri personaggi menzionati nell’Inferno, come l’imperatore Costantino (a confronto con Nerone) e Roberto Guiscardo, prima di analizzare la nozione della guerra giusta (a confronto con quella tirannica), usata soprattutto per giustificare la riconquista di Napoli, che era sotto il dominio della monarchia francese. Tutto ciò serve a richiamare e sottolineare le virtù di Ferdinando in particolare e appoggiare la corona in generale. Nella seconda sezione, Hamlin si concentra sull’operazione inversa, ovvero i momenti in cui Villegas tende a un punto di vista più negativo rispetto a Landino. Hamlin si concentra sul concetto della tirannia tramite, principalmente, i commenti su Federico II e Alessandro Magno, e di seguito sul favoritismo come consiglio diabolico che porta alla tirannide, concentrandosi su Pier delle Vigne-tramite il quale Villegas allude ad Álvaro De Luna-, poi su Bertram dal Bornio. Hamlin avverte che questo atteggiamento di Villegas verso il favoritismo riflette le sensibilità pro-monarchiche del tardo ’400, che giustificano la concentrazione del potere soltanto nella figura del monarca. Infine, Hamlin affronta la propaganda antifrancese evidente soprattutto negli ultimi canti, che è particolarmente rilevante durante il periodo in cui Villegas traduceva l’Inferno, dato che nel 1515 avvenne l’annessione di Navarra. Hamlin nota una continua «alusión implícita a los franceses como tiranos» (285), che poi fornisce la chiave di lettura per il resto del capitolo: Villegas presenta un’immagine del sovrano virtuoso, associato a Ferdinando II, e la guerra giusta in opposizione a quella tirannica; descrive la tirannia come una condizione diabolica che bisogna abbattere e poi attribuisce questa condizione ai francesi per giustificare la guerra contro di essi. In questo capitolo, Hamlin riesce a individuare una coerenza ideologica-attraverso allusioni sottili e riferimenti sparsi-in un testo che in altri aspetti, come si è visto, è spesso caotico.
Nel sesto capitolo, Hamlin affronta la questione delle tendenze umanistiche nel commento di Villegas, dal momento che si tratta di una figura-quella di Villegas-che rappresenta la transizione dallo scolasticismo medievale all’umanesimo rinascimentale. La caratteristica su cui Hamlin si sofferma principalmente è l’intromissione dell’«io», ovvero il punto di vista e l’esperienza dello stesso Villegas. Tramite questa prospettiva personale, Villegas dimostra un atteggiamento più critico non solo nei confronti di Dante, ma anche verso Landino e altre auctoritates. Inoltre, introduce nel suo commento degli interessi sicuramente umanistici, cioè la storia, la geografia e l’archeologia. La seconda parte di questo capitolo tratta dell’evidente desiderio di Villegas di elevare la lingua volgare, tramite ad esempio gli arcaismi e i latinismi e le citazioni latine tradotte in castigliano: un atteggiamento sicuramente umanistico. Per affrontare questo tema, Hamlin rintraccia parallelismi tra Villegas, da un lato, e vari scrittori contemporanei (per esempio Nebrija), dall’altro. Però, nonostante i notevoli pregi della trattatazione, sarebbe stato interessante svolgere una considerazione della posizione dello stesso Dante sull’uso del volgare, argomento certamente affrontato nella Commedia, ma del quale tratta esplicitamente nel De vulgari eloquentia.
Nell’ultimo capitolo, Hamlin si dedica all’atteggiamento di Villegas verso la poesia e la letteratura nel Prohemio e nel commento, che rivela ancora la posizione ideologicamente liminare del traduttore: sia tra la scolastica e l’umanesimo, sia tra i suoi ruoli di poeta e di ecclesiastico. Hamlin analizza il modo in cui Villegas contribuisce-sebbene sottilmente-ai dibattiti centrali dell’umanesimo, come la disputa sulle armi e le lettere e le definizioni della poesia e della letteratura, ma senza distanziarsi del tutto dagli atteggiamenti scolastici medievali.
In questo studio Hamlin ha saputo affrontare bene tutte le questioni delineate nell’introduzione. Il libro ci offre considerazioni e analisi essenziali riguardo il metodo di traduzione e il rapporto tra le sue caratteristiche linguistiche e il contesto storico-culturale, insieme all’impatto dei problemi che affliggevano la Spagna nel ’500 sulla traduzione del testo poetico e la stesura del commento. Inoltre, Hamlin traccia come la traduzione e il commento contribuiscano al dibattito culturale su questi problemi, e infine, quali caratteristiche ci permettono di collocare questa traduzione non nell’ambito della scolastica medievale bensì nella sfera del nascente umanesimo. Nei capitoli più teorici Hamlin si dimostra estremamente capace di trovare svariati riferimenti sia intertestuali sia concettuali, il che richiede un’ottima cura dei dettagli e una conoscenza approfondita non solo del testo di Villegas, ma anche delle tendenze letterarie, politiche e ideologiche dell’epoca. Il libro rappresenta, dunque, un contributo fondamentale nell’ambito della ricezione dantesca in Europa agli albori dell’età moderna.