C aserta, Cristiana, Per esempio. Achille e Socrate figure della comunicazione

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Laura Candiotto

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Candiotto, L. «C Aserta, Cristiana, Per Esempio. Achille E Socrate Figure Della Comunicazione». Noua Tellus, vol. 31, n.º 1, mayo de 2014, doi:10.19130/iifl.nt.2013.31.1.443.
Sección
Reseñas bibliográficas

Il corpo in azione

Questo è ai miei occhi il leitmotiv della interessante e innovativa interpretazione dell’agire comunicativo di Achille e Socrate offertaci da Cristiana Caserta.

Il libro è strutturato in sette capitoli, oltre alla introduzione, conclusione e bibliografia.

L’introduzione inquadra nel contesto socio-politico la questione della comunicazione come quella particolare forma di relazione che costituisce l’identità del singolo e della comunità.

I primi tre capitoli sono dedicati ad Achille, i successivi a Socrate. Nei capitoli dedicati ad Achille troviamo una interessante analisi delle posture dell’eroe, condotta sui testi omerici ma anche sulle opere statuarie, tendente a cogliere in esse il significato del suo agire. Il corpo di Achille è statico in quanto destinato alla morte e impotente nella privazione di Briseide. L’impotenza legata al ratto della schiava è tanto di natura fisica e sessuale quanto di natura sociale e provoca una ferita che intacca il suo onore. La sua vitalità si manifesta invece nella battaglia dove il corpo scopre un movimento liberato grazie allo scudo e alle lance. L’abito fatto di armi non è più abito che cela e nasconde (su questo l’autrice si confronta efficacemente con la tesi della Nussbaum in merito all’invisibilità) ma abito che manifesta la possibilità della lotta e del riscatto. Secondo l’autrice l’eroe da silenzioso diventa “sonoro”: il suo corpo in movimento diventa cioè la sua voce.

Anche nell’analisi della figura di Socrate l’autrice utilizza uno stile ermeneutico teso ad analizzare gli aspetti relativi alle diverse posture corporee della comunicazione socratica. In particolare nel caso di Socrate si evidenzia chiaramente come la sua fosse una modalità relazionale dove parole, corpo ed emozioni assumevano un ruolo preciso nella postura comunicativa.

Nel capitolo V dedicato al Protagora di Platone la Caserta ci mostra magistralmente come un’analisi capace di tenere conto anche degli aspetti corporei ed emotivi sia capace di fornire interessanti indicazioni filosofiche, considerando appunto filosoficamente i prologhi e le cornici narrative solitamente ritenuti meri accessori.

Il piano letterario della scrittura platonica non è scisso da quello filosofico ma è l’incarnazione di una filosofia volta alla trasformazione degli interlocutori e dei lettori. Nello specifico, secondo la Caserta, Socrate è stato capace di trasformare Protagora. Socrate, fornendo a Protagora un modello di dialogo vuole far nascere in lui il desiderio di prendervi parte attraverso il motore della contraddizione. Conducendo Protagora alla confutazione della tesi che aveva esposto nel suo discorso lungo autopresentativo, Socrate induce Protagora ad accettare un dialogo per difendere la sua tesi (e, aggiungerei, la sua immagine sociale). Socrate mette alla prova la tesi di Protagora attraverso l’analisi dell’attitudine comunicativa del personaggio e delle sue tesi. La tesi di Protagora afferma infatti che la virtù può essere insegnata e che l’insegnamento è possibile. Bisogna però chiedersi: “Protagora è disposto ad imparare? È capace di imparare le regole del dialogo?”. La risposta è negativa. Si assiste quindi alla contraddizione confutazione della stessa persona, non solo della sua tesi.

Rispetto a questo aspetto fondamentale, a mio parere sarebbe stato opportuno far notare che in questo modo Platone evidenzia la differenza tra lo stile d’insegnamento di Protagora e quello di Socrate. Oltre a un confronto vantaggioso per Socrate nei confronti del rapporto tra teoria e prassi, Platone qui sottolinea l’eccentricità della metodologia d’insegnamento socratico rispetto a quello strumentale dei sofisti, dal momento che il dialogo non è una tecnica che Socrate può insegnare ai suoi interlocutori. Analizzando nello specifico il personaggio Protagora, appare chiara l’impossibilità non solo di un’educazione dialogica nei suoi confronti, ma anche di una sua possibile trasformazione; su questo aspetto mi discosto dall’interpretazione della Caserta.

Nel mio studio dedicato ai dialoghi socratici (Le vie della confutazione. I dialoghi socratici di Platone, Milano-Udine, 2012) indico come il metodo socratico utilizzi particolari strategie e persegua differenti finalità a seconda degli interlocutori. È necessario quindi, sempre dal mio punto di vista, tenere in forte considerazione la biografia degli interlocutori per valutare come la comunicazione socratica volesse incidere su di loro. Con i sofisti come Protagora, Socrate perseguiva quello che ho chiamato elenchos retroattivo e cioè la critica della forma di vita del sofista di fronte al pubblico di uditori.

Come è possibile che Protagora accetti l’opera purificatrice di Socrate?

Secondo la Caserta egli si dimostra disponibile al cambiamento e compie grandi progressi, tanto da intitolare un paragrafo del capitolo V, “la salute di Protagora”. La Caserta fonda questa tesi attraverso l’analisi del cambiamento della postura comunicativa di Protagora. A mio parere, invece, il suo comportamento rappresenterebbe un’ennesima conferma della dissimulazione tipica del personaggio e agirebbe a suo svantaggio perché si manifesterebbe chiaramente la sua incapacità a imparare.

La Caserta evidenzia tre esercizi grazie ai quali il personaggio ha potuto compiere una trasformazione. Il primo consiste in un’analisi letteraria dei versi dei poeti, il secondo in una meditazione attorno al concetto di virtù e il terzo nello svelamento.

Mi soffermerei sul terzo perché mi sembra essere quello di maggior rilievo non solo nel dialogo discusso dall’autrice ma nella maggior parte dei dialoghi socratici.

La Caserta, assumendo le definizioni di La Matina, differenzia le “comunità fusionali” dalle “comunità elenctiche”. Nelle “comunità fusionali” il contagio empatico condiziona l’ascolto e non permette la presa di coscienza critica necessaria per la cura di sé. Nelle “comunità fusionali” l’individuo è impotente e sottomesso, nelle “comunità elenctiche” l’individuo è soggetto capace di vagliare e rendere conto del proprio stile di vita. La Caserta individua nella specie delle “comunità fusionali” l’entourage di Protagora e nell’azione socratica la finalità di condurre ad uno slittamento dal fusionale all’elenctico. In questo aspetto mi sembra di cogliere una fondamentale descrizione a sfondo politico dell’operare comunicativo di Socrate e della stessa scrittura platonica. La Caserta si domanda infatti: “perché Platone scrisse dialoghi socratici?”. La sua risposta è: “per non dimenticare”. La testimonianza apologetica platonica è, ai miei occhi, una presa di posizione politica di fronte a quella società democratica che voleva dimenticare l’operato socratico. Socrate viene ad essere così il modello, il paradigma o, usando la parola scelta dalla Caserta per lo stesso titolo del suo testo, “l’esempio” di uno stile comunicativo capace di mettere a nudo l’interlocutore e la società.

Perché è necessario lo svelamento?

La Caserta, confrontandosi elegantemente con l’iconografia dei personaggi, dimostra come la liberazione dal fusionale avvenga attraverso il mettersi a nudo. Socrate vuole vedere il volto del proprio interlocutore, non la sua maschera, vuole avere un contatto diretto con lui, non mediato dall’arredamento. Interessantissima al riguardo l’analisi dell’autrice in merito al ruolo del mobilio nel Protagora di Platone.

La descrizione dell’elenchos presente nel Sofista (230b-e5) a mio parere è chiarissima su questo punto: la purificazione sarà efficace per l’interlocutore e utile per l’uditorio solo se l’interlocutore sarà disposto a vergognarsi, a mettere in discussione la propria vita e il proprio ruolo sociale. Assumendo il lessico della Caserta, essere disposti a vergognarsi in pubblico è accettare di togliersi la maschera mostrando il proprio volto. Questa è secondo lei la prova messa in atto da Socrate. Si può quindi sostenere che la salute di Protagora consista anche nel mostrare la sua malattia. Ma siamo sicuri che egli la porti alla luce consapevolmente, avendo compiuto un atto di vergogna di sé? Non è invece un apparire in maniera riflessa e retroattiva agli occhi e alle orecchie di Socrate e degli uditori?

Secondo la Caserta la cura è la manifestazione del sano e del malato presente nell’interlocutore. Il fine perseguito è la metretica e cioè quel sottile esercizio di misura capace di forgiare lo stile di vita. La metretica è una fase successiva alla procedura elenctica, nonostante abbia bisogno di essa per l’avvio. Essa è lo strumento adatto per tutti gli edonisti che non sono capaci di calcolare esattamente quale sia il piacere maggiore. La metretica è anche l’esercizio compiuto dallo stesso Socrate alla ricerca del bene, nel discriminare i beni apparenti da quelli veri.

Per concludere, oltre ad elogiare la direzione perseguita e i risultati ottenuti dalla Caserta in questo studio, sottolineo come in questi ultimi anni le interpretazioni letterarie dei dialoghi platonici abbiano trovato un degno spazio all’interno della bibliografia secondaria. Lo studio della Caserta si inserisce degnamente in questo contesto interpretativo ed è al contempo portatore di innovazione proprio grazie allo studio da lei condotto sulla corporeità dei personaggi e sul contesto dialogico.

La bibliografia di riferimento evidenzia essenzialmente due grandi aree: la prima tendente ad una interpretazione politica della filosofia nel mondo antico, l’altra afferente alla filosofia del linguaggio, alla semiotica, alla linguistica, alla prossemica e alle teorie del linguaggio ordinario e della scrittura. Nella prima incontriamo ad esempio Foucault, Agamben, Nussbaum; nella seconda La Matina e Havelock.